L'imbarazzo della recensione


Uno dei motivi per cui ho scelto di evitare le recensioni per le mie collaborazioni giornalistiche (preferendo saggi e interviste) è l'obiettiva difficoltà a produrre un testo stringato, ma completo su un dato prodotto editoriale in tempi stretti.

Scrivere bene una recensione non è affatto semplice, non ci si dovrebbe limitare a produrre una sinossi con commento, ma formulare osservazioni mirate allo stile e alla tecnica (e alle correnti di riferimento), alla produzione dell'autore (o degli autori), al mercato dell'opera, alla corrente artistica e al gioco intertestuale, possibilmente dopo aver letto l'edizione originale.

E, a pensarci bene, quest'analisi, nel caso di alcune opere, conduce inevitabilmente al saggio o alla tesi. Mi è capitato di rifletterci rileggendo il post su Affari di Famiglia, uno dei capolavori di Eisner, così lineare eppure così complesso da rendere incompleto qualsiasi tentativo di commento breve.

Sia ben chiaro, non ho nulla contro chi si dedica - in buona fede - a informare i lettori sulle novità in uscita e comprendo benissimo le esigenze di web-ranking che costringono a sfornare, insieme a testi più articolati, anche pareri minimi, post-it di guida all'acquisto: titolo-autore-casa editrice-prezzo-riassunto-bello/brutto. Non sempre, ma molte volte, possono essere un aiuto per il consumatore. Ma non è giornalismo, è opinionismo di basso livello, un consiglio da amico.

E se devo darvi un consiglio, preferisco farlo da pari a pari, non dalla cattedra di una rivista, ma sfruttando i benefici dei social network. Per questo ho riscoperto Anobii, la libreria virtuale, dove la struttura delle pagine e dei commenti invita alla sintesi e la cui interconnessione tra i lettori, unita alla visibilità del sito, massimizza l'efficacia di un'opinione.

Con ciò non intendo smettere di elargire su questo blog i miei amichevoli Consigli di Lettura, ma Anobii sarà il mio canale preferenziale per i "pareri da bar".