Secondo me è perché non ci sono i fumetti porno


Domenica scorsa sono stato a una fiera del fumetto locale. Mi avevano invitato e non ho dubbi che l'organizzazione abbia fatto il possibile nei limiti delle proprie capacità.
Rispetto all'anno scorso, c'erano circa la metà degli espositori e gli autori ospiti si contavano sulla punta delle dita. Gli assenti tutti i torti non avevano: i corridoi erano deserti.
Poche centinaia di anime, qualche cosplay male in arnese (tra cui un Joker cinquantenne e stempiato), pochi soldi in tasca. Strani discorsi nell'aria:
"No no, io non leggo fumetti per carità, ho solo portato la bambina"
"I fumetti li leggevo da piccolo, ora li vendo perché sono rimasto un ragazzo dentro"
"Mia figlia fa l'artistico e vorrebbe fare fumetti, quanto ci vuole a fare una "pagina" e quanto si guadagna?"

Il dettaglio che ha fregato l'evento era l'assenza di una parte Games.
Il karaoke per i cosplay e una mostra di memorabilia bonelliane, elementi tipici quasi quanto il panino con la porchetta in queste manifestazioni, hanno rivelato la loro potenziale inutilità.
Era come assistere a una replica di laboratorio in scala ridotta del Comicon, dove la rocca del fumetto d'autore è stata snobbata, mentre la folla si raccoglieva qualche chilometro più in giù, nel palasport, a comprare ramen, videogiochi, gadget e - forse - qualche fumetto.

Eventi organizzati peggio, ma associati a una sezione ludica, fanno invece il boom e stanno ormai confermando quello che in molti auspicavano (della serie, attenzione a quello che desiderate, potrebbe avverarsi): il fumetto non è più percepito come un genere d'intrattenimento popolare.
Da anni diciamo che il fumetto è arte, cultura, forma espressiva multiforme... impegnativo, insomma.
E cosa vi aspettavate da un paese che, in media, se va bene, legge un libro l'anno?

La tendenza transmediale dell'industria dei comics americana di legarsi a doppia mandata con cinema, serie televisive e videogiochi, rivela non solo un'intelligente strategia, ma - alla base - un disperato tentativo di sopravvivenza. In Italia, invece, si punta alle librerie, un salto nella nicchia più grande, sperando che si accorgano delle graphic novel (mentre si discute ancora sulla legittimità del termine).
Se va bene, si vendono un migliaio di copie in più.

Nel frattempo, qualcuno sogna il digitale.
E il settore agonizza.