Avatar: scontate meraviglie.


«Toto, non siamo più in Kansas!» esclamava Dorothy, e con meno ingenuità ci avvisa il colonnello Miles Quaritch, uno dei peggiori bastardi partoriti dalla storia del Cinema, mentre il nostro protagonista, il soldato Jake Sally - stesse iniziali del John Smith di Pocahontas - in carrozzella, prende posto al primo briefing dopo l'atterraggio su Pandora. Cameron infarcisce il proprio kolossal degli elementi che l'hanno reso celebre, i Mecha di Aliens (e poteva mancare Sigourney Weaver?), la eco-disperazione distopica di Terminator, le meraviglie prot(e)o-digitali di Abyss - non a caso una grossa fetta dei costi di produzione anche questa volta sono stati destinati allo sviluppo della tecnologia necessaria a realizzare le riprese -, l'esasperazione del discorso scopico di Strange Days (firmò lo script del celebre film della Bigelow). La tattica è di dare allo spettatore tutti gli elementi narrativi covati dall'aspettativa (introdotti da un mai così sapiente uso della citazione intertestuale), con matematica precisione... da questo punto di vista, la storia è prevedibile e lineare sin dai primi 5 minuti, ciò che conta, davvero: è il come. Lascio agli eco-pacifisti le - banalotte - tematiche toccate dalla pellicola (niente di nuovo sul fronte occidentale), così come considero vuota e superficiale la costruzione epica, che si fonda su strutture e meccanismi rodati e sicuri. Un esempio? Vogliamo paragonare Quaritch al Kilgore di Apocalypse Now? Dobbiamo, non è una questione di scelta interpretativa: il personaggio di Stephen Lang è costruito su quel modello.
Dal punto di vista discorsivo, lo scontro finale tra avatar (robotico e alieno) sarà il protagonista di qualche dibattito sul tema della necessità della figura attoriale e dello slittamento del punto di vista, forse  - ancora - sull'inutilità pornografica dell'iperrealtà digitale, incapace di dare al lettore un'effettiva lettura alternativa tramite la profondità di campo (che anche qui, nonostante i miracoli della visione con gli occhialini, resta puro artifizio); argomenti già triti, ma aspettiamoci libri e Tesi di Laurea in proposito [e no, vi prego, evitiamo di parlare del crollo dell'"albero della vita" Na'vi come un rigurgito di coscienza post-11 settembre, perché rientra tutto nel gioco consapevole - e prevedibile - della (de)costruzione mitologica alla base di questo giocattolone].
Quello che, veramente e in definitiva, dobbiamo ad Avatar è una nuova tecnica di ripresa 3D che ha riaperto le porte del cinema alla meraviglia. Non è poco, ma è un percorso - se slegato da una ricerca discorsiva e narrativa - che punta rapidamente all'esaurimento.