Sul neo-narrativismo

Sono sprazzi di un ragionamento complesso, andrebbero circostanziati meglio, ma ci si potrebbe scrivere una Tesi di Laurea, e la mia ormai l'ho già scelta... o forse non ho un reale interesse ad approfondirli, perché il concetto di neo-narrativismo, pur se misconosciuto, si può sostenere solo producendo opere con una rinnovata attenzione al piano della storia, capaci di un'intensità tematica e introspettiva degna dei classici, dove il gioco del metalinguistico del racconto dev'essere funzionale ai fatti narrati, e così il discorso.

Bastardi Senza Gloria di Quentin Tarantino segna, a mio avviso, la morte della narrativa post-moderna, fatta di citazioni ammiccanti e intrecci articolati, labirintici, perché la porta al suo estremo limite. Nel finale una pila di pellicole brucia, incendiando il cinema tedesco, mentre la proiezionista, assassinata pochi secondi prima, condanna a morte i nazisti, in un magnifico canto del cigno espressionista, dove persino Hitler viene immolato, senza pietà per la Storia, né per il Cinema: tutto è gioco, tutto può essere bruciato. Ma non resta davvero altro da bruciare ormai, solo ceneri.

L'opposizione al cinema classico ha partorito le magnifiche devianze della nouvelle vague e ha visto l'evoluzione di un progetto decostruzionista quasi scientifico, anche quando divertito. Ma siamo al limite, così come si è raggiunto il limite del visibile e ciò a cui assistiamo nelle sale ormai è solo un triste gioco di rispecchiamenti frammentati, di ricerca di senso derivato, dove la riproposta ossessiva dell'immagine da (ri)filmare in una copia perfetta, ma pedissequa, produce fantasmi.

Tim Burton con Big Fish segna il punto di partenza neo-narrativo: la potenza della storia è sostenuta da una profondità discorsiva e metacinematografica profonda e articolata, ma mai capace d'intaccare il valore della narrazione in sé, dei personaggi, dei narratari. L'Io narrante non si prende gioco di nessuno, perché raccontare, adesso, è una cosa seria.