Kagemaru Den - La leggenda di un ninja


Kagemaru Den 1
Sanpei Shirato
Hazard Edizioni, 2012
750pp. b/n, Brossura, 30 Euro.

Rubo da comicsblog (dove trovate anche un po' di tavole)

"Alla fine dei “tumulti di Onin ”, guerra civile lunga oltre un decennio scatenata dalle mire espansionistiche dei vari daimyo, il potere politico, economico e militare del governo centrale, lo shogunato Ashikaga, era completamente dissolto e la sua sussistenza solo formale. Il conflitto diede avvio alla famosa Era Sengoku, altrimenti nota come “Periodo degli Stati combattenti”, col Giappone diviso in una miriade di feudi indipendenti retti dai signorotti locali. Tra questi anche il leggendario Oda Nobunaga, che mirava a unificare il paese sotto il proprio governo, sogno che riuscì a realizzare nel 1582 quando ricevette la carica di shogun dalla corte imperiale. Tra il 1560 e il 1582 Kagemaru si pone a difesa del popolo e dei contadini, la parte più oppressa della società, sofferente la fame e la carestia, e insieme a un gruppo di ninja combatte senza sosta il potere dei daimyo fino allo scontro con Nobunaga. Ninja bukeiko Kagemaru den divenne una delle letture più diffuse tra i movimenti studenteschi giapponesi degli anni 60 e 70 che come in tutti i Paesi scossero la coscienza civile e lo Stato. Per via dei suoi marcati caratteri marxisti il gekiga era uno dei testi preferiti dagli studenti che al tempo protestavano contro l’entrata del Giappone nell’Alleanza Atlantica. Il mondo dei ninja di Sanpei Shirato serviva in effetti solo come scenario cruento e opprimente per l’affronto di un’analisi dura ma vigile dei problemi sociali e morali del Giappone contemporaneo."



Chiariamoci, un mattone da 800 pagine in bianco e nero alla cifra di 30 euro ha spaventato anche me, ma il marchio Hazard mi aveva già regalato i capolavori di Tezuka e, a un certo punto, quando alla fiera di Cartoomics lo stesso editore ti spiega quanto sia importante a livello storico un'opera giapponese degli anni '60, cedi. Non tanto per evitare l'imbarazzo del mancato acquisto (tra le altre cose faccio il commerciale, so smarcarmi abilmente), ma perché lo senti dall'odore della carta che tra quelle pagine, ambientate in un conflitto medievale sconosciuto, di un popolo lontano quanto i marziani, c'è qualcosa.

E questo qualcosa non è solo una sintesi di segno strabiliante, una regia dalla struttura a gabbia classica (vicina alle soluzioni bonellidi per intenderci) rotta di frequente da soluzioni tanto moderne, quanto talmente efficaci da costituire un esempio per le generazioni di mangaka a venire; non è solo una caratterizzazione dei personaggi efficace, per quanto tipizzata sui canoni della narrativa nipponica d'intrattenimento, o un ritmo sempre teso...
La cosa davvero stupefacente è che in Kagemaru la gente muore, a tonnellate. Nemmeno i protagonisti restano integri. Il fatalismo intride ogni singola vignetta. E per quanto oggi si possa essere abituati a una visione meno "buonista" del supereroe, qui parliamo di un testo che ha anticipato un paio di decadi tutto il rinascimento americano seguito ai capolavori di Moore, Miller, Morrison e compagnia bella, ok?

E Kagemaru parla di supereroi, di combattenti con poteri al limite del divino che non esitano a sacrificare - con consapevole cinismo - le vite di intere eserciti, dopo averli abilmente manipolati per scopi egoistici, disegni di vendetta personali che sottendono, forse e in minima parte, a uno scopo altruistico di liberazione del proprio popolo. Il viaggio di formazione a cui assistiamo nel primo volume, consiste più in una via della spada che passa su torme di cadaveri di uomini e bestie, trasmettendo al lettore un'atmosfera di caducità della vita che davvero si sta come d'autunno sugli alberi... 
Ma le premesse Storiche e sociali (con un approfondimento degno di un manuale) legittimano questa visione, offrendo, soprattutto a un lettore occidentale, un'antinomia tra bene e male meno assoluta e digeribile.

Kagemaru Den Un'opera seminale sorprendente, impossibile da accostare - se non per ragioni di marketing - al maestro Tezuka, mai così cinico nemmeno in Ayako o nei capitoli più neri di Black Jack.