[RESOCONTO LUCCA 2010] Il ghigno di Arlecchino


Il ghigno di Arlecchino
Adriano Barone
Asengard 2010
Brossura, 176 pagine, 9,90 Euro.

Vittima di esperimenti che lo hanno portato ad avere poteri quasi divini, ma sui quali non ha il minimo controllo, il folle Arlecchino fugge dalla prigionia impostagli fin dalla nascita. Il giullare si ritrova in un mondo in apparenza perfetto, dove la morte non esiste: insofferente a ogni tipo di regola, vittima di un destino che lo vede sempre in balia di forze che vogliono imporre l’ordine nel Multiverso, Arlecchino porta il caos nel mondo in cui è prigioniero e, liberatosi, in tutte le altre realtà esistenti, provocando ciò che i misteriosi Tracciatori vogliono prevenire ad ogni costo. E quando si scatena la sua follia, in tutti i Tracciati dell’universo risuona il ghigno di Arlecchino.
Dalla Prefazione di Alan D. Altieri

Adriano ha le palle, e potremmo chiuderla qui.
Lui lo sa, e ogni tanto, tra le righe, ti pare di sentirlo sghignazzare compiacente come il suo Arlecchino per la soddisfazione di aver imbroccato una soluzione geniale.
E quella risata, rotonda, echeggiante, acuta, mi ha accompagnato durante tutta la lettura. Ché io Adriano lo conosco, peggio... ho VOLUTO conoscerlo, come una maledetta groupie, dopo aver letto Tipologie di un amore fantasma, L'era dei Titani e Carni (e)stran(e)e, tre colpi, tre morti. Ma era un percorso inevitabile, lui è sempre presente nelle sue opere, parlarci serve a completare l'"esperienza spettatoriale" (anzi, a dirla tutta, dovremmo pure portarcelo a letto, per la coerenza transmediale).
Mi aspettavo molto da questo ghigno, come un bambino, prima dell'ingresso nel tunnel degli orrori. Pregustando l'adrenalina. Ma Adriano non ripete, e sceglie la strada difficile. Poteva inscenare un bel delirio carnografico, ripercorrere le stesse vette di sadismo toccate nell'esordio in Mondadori, anche solo per affermarsi come uno dei fondatori del New Weird (se vi piacciono le etichette).
Ma... poi ti trovi a girare l'ultima pagina e rimani stranito, con le sinapsi impastate dalla scrittura barocca e sodomita, densa di ossessioni frattali fino a soffocare. Annaspi senza riferimenti, perché il Barone (così si chiama - guarda caso - l'antagonista, il crudele demiurgo, il padre di Arlecchino) e la sua creatura, si muovono in un mondo complesso, una creazione schizoide, dove il tempo può diventare soffice, molle, in cui il passato si mescola al futuro, dove strane creature con denti dentro bocche dentro denti mangiano errori e dove puoi persino trovarti a pilotare un Mecha.
Figure strane. Ti accorgi che lo scrittore sta giocando su un piano diverso della solita strizzatina d'occhio al nerd con la collezione completa delle pellicole Troma. Barone ci presenta una sua Creazione, ibridando (il melaserpente... geniale!) fantascienza, filosofie e religioni, tecnologie, corpi e divinità, senza risparmiarci il dettaglio fisico e perverso del concepimento e della trasformazione.
E ti ci trascina in apnea come un malvagio Joyce, perché persino la scrittura deraglia, la punteggiatura a tratti svanisce e le soggettive stordiscono, in un flusso di pensieri capace di gettarci nella stessa confusione del protagonista mentre lo accompagniamo nella sua parabola cosmogonica.
Troppo, davvero troppo. Andate sul sicuro, leggetevi Scott Pilgrim, lì almeno è facile cogliere i riferimenti intertestuali e potrete farvi fighi con gli amici sciorinando l'elenco dei platform anni '80 a cui si sono ispirati il film e il videogioco. Qui, nel ghigno di Arlecchino, potrete solo perdervi.