In questi giorni i piccoli siti d'informazione di fumetto italiano hanno registrato un po' di fermento sui blog personali di alcuni autori. La pietra dello scandalo è sempre quella: gli editori pagano poco o non pagano.
Michele Petrucci (autore dei notevoli FactorY e Metauro) osserva come:
è spesso vero che la maggior parte dei fumetti (parlo di quelli venduti in libreria/fumetteria) raggiungono cifre di vendita tali da non produrre un vero e proprio reddito verso l'editore e l'autore. Anche questo è un fatto. Per questo non mi meraviglio se un editore mi offre solo una percentuale sulle vendite (che va da un minimo del 7% ad un massimo del 10%) assieme ad un anticipo che gira attorno ai 1000 euro lordi.
Riassumendo un po' le condizioni contrattuali della piccola/media editoria di settore. Aggiungiamo anche chi il rimborso non lo... sborsa (perdonate la facezia), chi la percentuale la promette, ma non dichiara in seguito i dati di vendita, chi non prevede royalties per gli autori, chi chiede un contributo per la stampa.
Susanna Raule (la sceneggiatrice di Ford Ravenstock) nota poi come sia diffuso il malcostume di sottovalutare il lavoro d'ingegno. Rincara Ausonia (grafico di copertina Mondadori e autore di Pinocchio - storia di un bambino):
Ora io dico, sono il primo a fare le cose per amore e solo per amore e anche se lavoro per qualche grosso editore, va detto, i compensi sono una miseria rispetto al culo che mi faccio quotidianamente. però, attenzione, non è che uno lavora senza amore se si trova anche dei soldi in banca. oh, che razza di punto di vista è mai questo? [...] qui si lotta per un tozzo di pane e se questa lotta sacrosanta e struggente viene scambiata per mancanza di passione... siamo alla morte sociale. siamo al ridicolo. io rivoglio la sana lotta di classe. la rivoglio eccome. che qui solo i borghesi hanno diritto di creare. gli artisti figli di papà. che vadano al diavolo se credono di essere degli eletti. qui c'è chi vuole vivere del proprio talento.
Ne parlano anche Tito Faraci (sceneggiatore Disney e Bonelli) e Marco Ficarra (autore di Stalag XB) Vi rimando, ovviamente ai blog linkati per conoscere nel dettaglio il punto di vista di ogni autore citato.
Concordo con molti sulla presenza di un diffuso dilettantismo negli editori, inclusi alcuni da edicola. Noto anche, nel nostro paese, una maggiore difficoltà del pubblico ad accettare il fumetto, più che come arte, come passatempo adulto.
Vorrei esprimere giusto due brevi considerazioni, per non tediarvi e riassumere il mio punto di vista:
1) Un'azienda che non vende chiude, ma prima taglia sul personale. Se un editore italiano, al pari di un'industria automobilistica, non riesce a piazzare le scorte, tenta di rientrare nelle perdite riducendo le spese di risorse umane (stipendi, rimborsi, assunzioni...).
Le alternative che ho letto?
- Accettazione nichilistica (-> lavorare gratis per "visibilità")
- Lotta di classe (morte ai borghesi che pubblicano gratis perché li mantiene mammà)
- Tavola Rotonda (con un buon Graal di lambrusco)
A casa mia, se non piace il lavoro o la retribuzione, si punta a qualcosa di meglio. Se agli alti livelli non ci si arriva, si cambia mestiere. Non perché non si sia capaci, ma perché magari non si ha uno stile abbastanza commerciale e quindi, invece di scrivere (o disegnare) storie "d'autore", per campare tocca fare il giornalista di cronaca rosa o il grafico web. Questione di saper accettare cosa chiede il mercato di massa e di comprendere se si è capaci di farne parte.
2) Nemo propheta in patria. Il mercato italiano vi sta stretto? C'è un mondo là fuori, buon viaggio! Certo, se si vuol star bene bisogna lamentarsi insegnavano gli antichi, ma piuttosto che accettare condizioni vergognose alimentando un mercato in rovina, meglio fare i bagagli.
Sul discorso retribuzione, infine, io la penso così:
- se l'opera è MIA, ovvero qualcosa di personale, senza una ricerca di mercato dietro, impongo a un editore l'investimento sulla fiducia. Imponendo un'opera preconfezionata, quindi incognita, l'editore dovrà organizzarne la vendita e la promozione puntando sul mio nome (se è spendibile sul mercato) o sul titolo, ma deve compiere un lavoro a posteriori, privo - o quasi - di garanzie, se non quelle offerte da ME (a livello di notorietà o di vendibilità dell'opera). Inevitabile, il valore scende e si punta sulla percentuale e il rimborso spese, augurandosi che ci sia un venduto tale da realizzare buoni guadagni. In questo caso l'opera d'autore è un "investimento"
- se l'opera NON è mia, ovvero è una commissione, una storia di un personaggio d'altri, o su specifiche indicazioni, l'investimento è sempre dell'editore, ma non sulla fiducia, bensì su una sua personale ricerca di mercato, su dati di vendita, stime. Lui impone precisi dettami di sviluppo del prodotto. Io devo adeguarmi. In questo caso parliamo di "lavoro".
E il lavoro si paga.