La gente ha una strana idea di quello che studio e un'ancor più strana concezione di quelle che sono le mie competenze.
Certo, la colpa è mia che dopo tre anni di Scienze della Comunicazione (ah ma allora vuoi fare il giornalista o la velina?) mi sono infilato nel biennio magistrale di Comunicazione Multimediale (ah, da grande vuoi fare i siti porno?).
E lo stesso vale per quella santa della mia fidanzata, che sta per chiudere i tre anni di Scienze del Servizio Sociale (ah ma poi vai a fare la OSS?)
In generale percepisco una scarsa considerazione da parte di chi vede l'Università dall'esterno. Complice la campagna di dequalificazione di massa attuata dal nostro governo. In buona sostanza, se non si è iscritti alle canoniche medicina/giurisprudenza/ingegneria sei un "parcheggiato", un figlio di papà buono a nulla che "si diverte", perché tanto quello che studi "è facile" e la tua laurea "ce l'hanno tutti" e via dicendo.
Sulla relativa facilità dei corsi di Laurea di Scienze della formazione, non mi pronuncio. Ho visto davvero troppa gente mollare e io stesso su certi esami c'ho perso la salute. Ma visti da fuori i nostri libri sono più piccoli dei tomi di Anatomia e Diritto Penale, quindi me ne faccio una ragione.
Che io e Cinzia possiamo essere definiti "parcheggiati" lo trovo interessante. Intanto, da quando mi sono iscritto alla magistrale, lavoro. Ho un part-time che mi permette di non pesare sui miei genitori e di proseguire gli studi e questo vale anche per la mia ragazza. Io mi occupo di Fund Raising per dei free-press, lei organizza corsi di alta formazione universitaria (sì, è una tosta, e guadagna pure più di me). Eppure veniamo inquadrati ancora nella generazione dei "bamboccioni che vogliono la pappa pronta", perché stiamo ancora a "perdere tempo" in università; tanto lo sanno tutti, "è solo un pezzo di carta", "ci sono medici BRAVISSIMI che lavorano anche senza Laurea" e altre leggende metropolitane in coda.
E questo alimenta un carico di stress tanto più infelice, quanto più è vicina a te la persona che ha queste convinzioni (amici, parenti...), perché non riesce a concepire lo studio come un lavoro, come un tentativo di costruirsi un futuro con dedizione e sacrificio, e identifica la ricerca come aria fritta, perché non è come in fabbrica, che a fine giornata hai prodotto quaranta armadi, o in pizzeria, dove il frutto del lavoro è concreto, e magari pure buono, con il salamino e le olive nere.
E io voglio fare il dottorato, altri tre anni senza salamino e olive nere.
Ci sono solo quattro posti a Comunicazione Multimediale a Pordenone, due con borsa (a 13.000 euro l'anno) due senza. Non c'è valutazione del curriculum, né delle pubblicazioni né dei titoli; si gioca tutto sul tema, sul progetto di ricerca che sarai capace di descrivere sul foglio bianco.
Sto perdendo il sonno per tenermi al passo con gli studi sulla transmedialità, perché mi piace fare ricerca, da due anni mi occupo di certi processi e, anche se mi sono stati proposti lavori d'ufficio con guadagni più alti e meno sforzo intellettuale, spero di avere la FORTUNA di poter continuare ad analizzare certi fenomeni.
"E bravo, perché vuoi fare il professore, il classico statale che, una volta dentro, non fa più una ceppa."
Con la precarizzazione dei ricercatori post-dottorato, e l'incubo dei contrattisti, diciamo pure che al momento l'opzione dell'insegnamento non è mai stata così remota. Tentare il dottorato con la prospettiva di un posto fisso da qua a dieci anni equivale a un sistema per imbroccare il terno al lotto. Un sistema faticoso e demotivante.
Eppure io voglio parcheggiarmi questi tre anni, perché credo avranno un valore per la qualità della mia vita e del mio lavoro futuri. Perché ho bisogno di fare ricerca sui temi di mio interesse e so di poter dare il mio contributo.
Perché non sono capace di cucinare le pizze. Sono buono solo a scrivere, ma per chi non legge, lo so... un libro non lo mandi giù nemmeno con la maionese.