Il Fumetto italiano fa schifo? - Parte Terza -


L'ultima volta ho chiuso con un interrogativo: può il fumetto popolare italiano proseguire seguendo una tattica difensiva? E che futuro aspetta il fumetto d'autore della piccola e media editoria?
Se il fumetto in Italia continua a essere ritenuto il cugino povero della settima arte, non attribuisco alcuna colpa al lettore - e se ne siete convinti, è un problema vostro -, ma all'istituzione scolastica, che non educa alla lettura e alla conoscenza del patrimonio fumettistico (e cinematografico aggiungerei) italiano e straniero; all'editoria a pagamento (e a quella che non paga gli autori), che inquina il mercato e rende più difficoltoso il percorso di storie e artisti che meritano l'affermazione; all'editoria mainstream, per non essere riuscita a compiere un processo di rinnovamento strutturale.
Sergio Bonelli Editore rappresenta, a mio avviso, l'eccellenza del fumetto popolare italiano, con una rosa di autori di grandissimo livello ed esperienza. Manca forse alla casa editrice l'inventiva commerciale di Star Comics che con Cornelio e Factor V sta tentando di trasportare in Italia una pratica americana che tanto sta avendo successo in questo periodo: coinvolgere grandi figure della narrativa e del cinema nella realizzazione delle storie. L'esempio di Panini, che ha realizzato operazioni legate a nomi come Valentino Rossi, Ligabue, Vasco Rossi e Lici Troisi, è diverso perché legato più a uno sfruttamento dell'immagine che del talento. Certo, non mancano esempi di excursus nel fumetto di grandi firme della letteratura, ma se Marvel e Vertigo hanno scomodato nomi del calibro di Orson Scott Card e Stephen King per realizzare attivamente soggetti e sceneggiature, se nei credits delle principali serie supereroistiche cominciano a fare capolino nomi noti al pubblico televisivo come gli sceneggiatori di Lost o di Buffy, forse all'estero è in atto un'operazione sistematica di rinnovamento dei contenuti per adattarsi ai cangianti gusti dei lettori, puntando a un alto livello qualitativo.
I costi da sostenere per coinvolgere certe firme sono indubbiamente di un certo livello e manca al fumetto italiano una pratica ormai consolidata in tutti gli altri media per finanziare operazioni ambiziose: la ricerca degli sponsor. Gli americani ormai da anni hanno imparato a gestire i colpi di scena in base alla presenza di una o più pagine di pubblicità all'interno dell'albo, su Dylan Dog invece non ho mai visto la réclame di un'automobile. Molti considerano questo discorso un'eresia. Io per primo non vorrei certo che le battute di Groucho s'interrompessero da una pagina all'altra per la pubblicità di un dentifricio, ma tutto sta nel modo in cui gli sponsor vengono gestiti.
Esistono riviste - anche a fumetti -  che si sostengono esclusivamente con i soldi della pubblicità. Non è vero quindi (come alcuni credono) che Tex non viene ritenuto un valido veicolo promozionale dalle grosse aziende, con le sue centinaia di migliaia di copie vendute; a monte c'è una precisa scelta dell'editore. Accettare le dinamiche di mercato con la dovuta intelligenza, porterebbe nuovi fondi, maggiore possibilità di sperimentare e di coinvolgere grandi nomi del cinema e della narrativa con sistematicità, con tutti i benefici dell'interscambio di talenti e conoscenze.
A me non darebbe alcun fastidio trovare un inserto pubblicitario a colori di 12 pagine tra le cento di un albo Bonelli (tra, passatemi la metafora, "il primo e il secondo tempo") se l'albo in questione fosse il primo numero di una serie scritta da Sandrone Dazieri o Dario Argento. E sarei ancora più contento se gli introiti di tale pubblicità garantissero la stabilità economica a esperimenti editoriali, o permettessero alla piccola e media editoria di qualità italiana di diffondere meglio le proprie produzioni a prezzi concorrenziali e convenienti. Certo: ci sono formati, come per i libri, che non permettono di reclamizzare prodotti. Ma le soluzioni di marketing non si esauriscono nella pubblicità stampata.
Io avrei accettato il famoso inserto pubblicitario se avesse impedito a John Doe di chiudere anticipamente, voi?
P.S.La risposta alla domanda provocatoria del titolo, per quanto mi riguarda, è NO. La scuola di fumetto italiana continua a essere una delle migliori del mondo, ma il prodotto da edicola sta conoscendo grosse difficoltà non tanto per un calo della qualità (in alcuni casi sì, inutile nascondersi dietro un dito), ma per l'incapacità di adattarsi con rapidità ed efficacacia all'evoluzione del mercato.